MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA XXXII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
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DAL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA XXXII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
«Non è bene che l’uomo sia solo». Curare il malato curando le relazioni.
Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione,
inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Siamo creati per stare insieme,
non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel
cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta
dolorosa e perfino disumana.
Il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta,
addirittura nell’abbandono. Questa triste realtà è soprattutto conseguenza della
cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito
dell’efficienza. Diventa allora cultura dello scarto, in cui «le persone non sono più
sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se
“non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani».
Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena
di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto
prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri –
familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. Guardiamo all’icona del
Buon Samaritano, alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla
tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre.
Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché
qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla
fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della
malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per
guarire le malattie della società in cui viviamo. La condizione dei malati invita tutti a
frenare i ritmi esasperati in cui siamo immersi e a ritrovare noi stessi.
In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati
ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è
solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona
nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e
dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dello
scarto dell’indifferenza, e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.